01 Mar Le tute e l’acciaio – Roma, 2018
Galleria d’Arte Moderna, Roma
dal 1/11/2018
al 3/03/2019
Confrontandosi con i particolari spazi del chiostro-giardino della Galleria d’Arte Moderna di Roma, Antonio Fraddosio espone dieci grandi lamiere lacerate e contorte, potenti e misteriose, che richiamano le tute che dovrebbero proteggere gli operai dell’Ilva dai tumori, depositate, al termine del turno di lavoro e prima di andare alle docce, in una specie di camera di compensazione.
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Le opere esposte in questa mostra appartengono al quinto ciclo
Commenti critici e interviste relativi alla mostra
Storie di vite sospese tra inquinamento e malattie informano, ormai da tempo, la ricerca di molti artisti contemporanei. In questo ambito mi ha colpito, una manciata di anni fa, la performance intitolata “Dust Plan” di Brother Nut (all’anagrafe Wang Renzheng), un trentenne artista cinese che per alcuni mesi ha impiegato quattro ore delle sue giornate ad aspirare lo smog di Pechino, con un’aspirapolvere capace di risucchiare lo stesso quantitativo di aria respirata da 62 persone in un giorno. Con la polvere raccolta, e l’aggiunta di una piccola quantità di argilla, il giovane artista ha costruito un mattone, per dare una prova tangibile della gravità di una situazione non più ignorabile.
In questo alveo di ricerca e sensibilità, si colloca il progetto odierno di Antonio Fraddosio (Barletta, 1951) alla Galleria d’Arte Moderna di Roma dal titolo “Le tute e l’acciaio”, un’installazione etica – come è stata definita dai curatori Claudio Crescentini e Gabriele Simongini – nello specifico un monumento antiretorico dedicato agli operai dell’Ilva e alla città di Taranto, una denuncia universale contro tutte le situazioni in cui il diritto al lavoro si guadagna dando in cambio la propria salute, la propria vita.
Come, infatti, ha avuto modo di stigmatizzare Cristina Mastrandrea su osservatoriodiritti.it, mentre sul fronte del lavoro si fanno accordi sindacali con Arcelor Mittal, dal punto di vista ambientale – e dei conseguenti impatti sulla salute della popolazione locale – la questione Ilva resta aperta.
La netta presa di posizione di Fraddosio è anche quella di un uomo del sud, per di più pugliese di nascita, che ha visto con i propri occhi, tante volte nel corso degli anni, l’impressionante trasformazione di Taranto causata dall’impianto siderurgico dell’Ilva, il più grande d’Europa. Come scrive Gabriele Simongini, in catalogo, in questi sudari di ferro resta l’impronta di corpi umani sofferenti, c’è il senso della morte e della distruzione, ma sopravvive una sorta di speranza affidata all’arte, alle sue possibilità catartiche. Nelle lamiere, ciascuna diversa dall’altra, affiorano spesso i colori velenosi, mortali ispirati al manto di ruggine, alla polvere pesante, rossastra, dalle sfumature marroni e nere, che avvolge e soffoca la città colpendo soprattutto il rione Tamburi, a ridosso dell’Ilva. (Cesare Biasini Selvaggi)