07 Gen Il breve termine governa il mondo, “Mater Matuta”
di Floriana Carosi
“Così a un’ora fissa Matuta soffonde con la rosea luce dell’aurora le rive dell’etere e spande la luce… E’ fama che dalle alte vette dell’Ita si assista a questi fuochi sparsi quando sorge la luce, poi al loro riunirsi come in un unico globo, formando il disco del sole e della luna…” Da De rerum Natura – Lucrezio
La storia dell’uomo è un concatenarsi di eventi spesso apparentemente distanti. Così, lavorando ad un ciclo, nascono opere che anticipano il ciclo seguente. Con queste parole, lo scultore, Antonio Fraddosio, spiega il “filo rosso” che lega, negli ultimi venti anni, ogni ciclo di opere e ogni opera realizzata. Attraverso alcuni lavori, i cicli si sovrappongono, hanno un inizio ma non una chiusura poiché trattano temi universali. Sono capitoli senza finale di un grande componimento, anch’esso senza finale.
Il breve termine governa il mondo segue e nasce dal precedente ciclo di opere Quel che resta dello sviluppo.
Lo sviluppo, spiega l’artista, non è sinonimo di progresso ma, come affermava Pier Paolo Pasolini, spesso ne rappresenta l’opposto. Il primo mette al centro le tecnologie, il secondo l’uomo e il suo pensiero.
Il degrado ambientale è una delle conseguenze dell’evoluzione dello sviluppo globale.
L’ultima opera di Fraddosio, l’installazione dal titolo Le tute e l’acciaio dedicata al grave problema ambientale sorto intorno all’Ilva di Taranto, rappresenta un atto politico di reazione dell’artista ad un sistema economico-finanziario di tipo liberista, sempre più globalizzato all’interno del quale tutto viene realizzato secondo una precisa e attenta strategia tesa solo al raggiungimento dei massimi profitti economici e dove l’uomo è costretto sempre più ad una condizione di servilismo.
La causa di tutto ciò è quella che Fraddosio definisce la visione a breve termine del mondo ovvero l’eccessiva attenzione da parte dei Governi ai risultati conseguiti a breve termine a scapito di quelli che si conseguiranno soltanto nel lungo. Tipico esempio è l’assillante preoccupazione delle imprese di perseguire profitti immediati sacrificando obiettivi strategici di più lungo corso e la creazione di un valore di più ampio respiro sociale.
In questo tempo l’uomo è sempre più ripiegato sull’oggi, su traguardi ravvicinati nel tempo; di qui la necessità di tornare ad occuparsi del futuro a lungo termine, delle generazioni che verranno e del rispetto delle loro vitali esigenze, assicurando meccanismi di sviluppo sostenibile nel tempo e obiettivi articolati su archi temporali estesi.
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Per la realizzazione delle opere del nuovo ciclo, di cui Mater Matuta fa parte, Fraddosio sceglie materiali che si oppongono concettualmente al “breve termine”; sono materiali che vengono da un passato lontano e continueranno ad esistere nel lontano futuro, nel “lungo termine”; sono i materiali classici della storia antica: marmo di Carrara, pietra, bronzo e, per la prima volta nella sua produzione artistica, compare la ceramica lavorata con tecniche antiche.
Non è la prima volta che l’artista si confronta con l’immagine-simbolo della Mater Matuta. Nel 2017, per il ciclo Salvarsi dal naufragio, aveva realizzato in legno e catrame l’opera Mater negra. Mater Matuta, concentrandosi sul ventre gonfio di una donna di colore, in gravidanza, divenuta emblema dell’Africa quale culla dell’Umanità.
Ma è in questa opera in marmo che l’artista, in linea con il significato universale della Mater Matuta ha tradotto in termini plastici la complessa simbologia della dea arricchendola di originali contenuti personali.
Chi è Mater Matuta?
Il culto della Gran Madre affonda le sue radici in epoche lontane, preistoriche ed è tipica della realtà mediterranea. La Mater Matuta, in particolare, ne sarebbe una singolare variante di origine Italica, entrata poi a far parte del mondo romano; nella mitologia a Roma, la Mater Matuta era la dea del Mattino o dell’Aurora, la prima luce che abbraccia la Terra e allontana le tenebre ed il buio della notte, la madre dell’inizio di un nuovo giorno, della vita, ed in senso più stretto della fecondità e della nascita. A lei era dedicato un tempio nel Foro Boario, nell’odierna area di sant’Omobono e la sua festa (Matralia) veniva celebrata l’11 giugno. Numerosi esemplari di Matres che coprono un periodo dal VI al I secolo a.C. sono conservati nel Museo Campano di Capua. Si tratta di statue in tufo raffiguranti donne sedute su troni con bimbi in fasce sulle braccia, in atto di offerta alla dea Matuta, tutrice della maternità e della fecondità.
Ma il culto della Dea Madre ed il mistero della procreazione come evento prodigioso ad essa legata risale a tempi molto più antichi, addirittura al Paleolitico se si interpretano in tal senso le Veneri “steatopigie” della cui figura femminile stilizzata sono messi in risalto, nella loro smisurata evidenza, il ventre, i seni e le natiche.
La Mater Matuta è anche la più antica prefigurazione dell’iconografia mariana del Cristianesimo.
La più antica scena di parto conosciuta nell’arte europea, risalente a 2.600 anni fa, raffigura una donna –madre di profilo con il braccio alzato, ginocchio sollevato e una lunga treccia sulla spalla dal cui corpo fuoriescono la testa e le spalle di un bambino.
La scena è rappresentata su un frammento di recipiente in bucchero, rinvenuto nel sito archeologico etrusco di Poggio Colla in provincia di Firenze.
All’aspetto della sacralità della nascita sono anche correlate le rappresentazioni di parto conservate in vari bassorilievi di epoca romana.
Una scena di parto dall’alta valenza simbolica, risalente al XVII secolo, da considerarsi unica nel panorama scultoreo sacro, chiude questo brevissimo excursus storico e, pur nella sua diversità, ben ci introduce all’opera di Antonio Fraddosio.
La scena è rappresentata sulle otto facciate dei quattro basamenti su cui poggiano le colonne dell’altare del Bernini in San Pietro. Tra lo stemma di Urbano VIII Barberini che commissionò l’opera e le chiavi di San Pietro, Bernini ha rappresentato una testa di donna, la cui espressione in progressivo mutamento indica le varie fasi di un parto: il volto femminile inizialmente si contrae per le prime doglie, quindi gli occhi si stravolgono, i capelli sono scompigliati, la bocca da socchiusa si apre in un urlo. Nell’ottavo e ultimo stemma la testa di donna è sostituita da quella allegra e paffuta di un bambino, a significare che il travaglio si è concluso felicemente con la nascita di una nuova vita.
Bernini ha raffigurato le fasi del parto concentrandosi sull’espressione del volto della donna-madre che, addirittura, alla fine della sequenza, si tramuta nel volto del bambino-figlio.
Anche Fraddosio realizza una scena di parto, ma ben diverso è il percorso visivo e concettuale rispetto all’opera di Bernini.
Mater Matuta è l’immagine di un corpo femminile, in realtà di esso solo il tronco, con il ventre misteriosamente gonfio, nell’atto di dare alla luce un figlio del quale si intravede una zona ben levigata del viso e una parte ancora imprigionata nella pietra informe insieme al corpo della madre. L’opera richiama il significato universale della dea primordiale legato alla maternità, alla nascita, divenendone però solo un aspetto. Nell’opera di Fraddosio, infatti, il momento della nascita convive con quello della morte: una parte del corpo giovane e vitale della donna con il ventre gonfio convive con l’altro, ormai sfiorito e decadente per la maturità, addirittura decomposto nella morte. Artefice della trasformazione è il tempo che trascorre inesorabilmente e visibilmente sul corpo della donna – madre; è il tempo della gestazione…. ma è, soprattutto, il tempo della vita…
Così, scrive Michele Ainis, costituzionalista e scrittore, a proposito di questo duplice aspetto ricorrente nell’opera dell’artista: “E’ la cifra distintiva di Fraddosio, la sua capacità d’imprimere una forma allo sformarsi, alla dissoluzione delle cose…L’elemento unificante delle sue costruzioni risiede perciò in una decostruzione, in una destrutturazione. La struttura è il reale, per come si manifesta al nostro sguardo: una superficie levigata, con un ordine che attinge dalla razionalità dell’intelletto. Però al di sotto pulsa un braciere d’istinti e di emozioni, e c’è in ultimo la morte, prima e dopo ogni esistenza”.
L’artista realizza questi passaggi attraverso il processo scultoreo le cui fasi sono completamente opposte a quelle del processo della vita.
Nella scultura classica, dalla massa informe della materia si arriva alla contemplata serenità della pura forma; nell’opera di Fraddosio, la materia levigata, rifinita e lucidata di un lato del corpo florido della donna – madre, materia levigata foriera di nascita, di vita, come una parte della testa del bambino che preannuncia la certezza di un domani, si trasforma in materia grezza, corrotta, nell’altro lato del corpo che, sotto i colpi della gradina, arriva a decomporsi evidenziando addirittura delle “assenze”. Le “assenze della materia” in Fraddosio non corrispondono al “non finito” michelangiolesco, piuttosto rappresentano un atto concettuale attraverso il quale l’artista sottolinea maggiormente la dissoluzione operata dal tempo.
Ma non è solo l’arte concettuale ad essere qui richiamata. Fraddosio infatti utilizza diversi linguaggi artistici: classico, nella materia levigata per rendere il senso della floridezza e della vita, espressionista, nella materia grezza, corrotta della vecchiaia e della decadenza fino all’informale in quel passaggio tra il blocco di pietra e la forma che comincia ad affiorare per poi tornare alla materia informe.
Per quanto concerne il procedimento scultoreo, l’artista si serve di tecniche tradizionali manuali della lavorazione della pietra che vengono da un passato lontano come la pietra che foggia utilizzando strumenti artigianali: scalpello, gradina, martello, punte, raspe, ecc… Il significato e il valore della manualità dell’artista-scultore è accentuato dai suoi interventi perfettamente leggibili sul marmo: dalla materia classicamente rifinita con carteggiatura e lucidatura con polveri e acidi e polveri abrasive, ai segni espressivi della gradina, alla materia più grossolanamente sbozzata con lo scapezzatore, più dettagliata con lo scalpello…
Dell’opera non esistono modelli preparatori in creta ma solo alcuni disegni; si tratta di una scultura diretta, d’azione, dove progetto ed esecuzione costituiscono un unico atto che ha richiesto grande impegno mentale e fisico da parte dell’artista. Per questo Mater matuta è essa stessa il risultato di un “parto”: quello dello scultore che con forza ed impeto ha plasmato ciò che aveva nel più profondo del suo animo, giù nelle viscere e, quando tutto è finito, ha osservato la sua creazione lì, ferma, che all’unisono respirava insieme a lui.
Floriana Carosi